mercoledì 23 novembre 2011

Le Colf a Monti: “Ratificare al più presto la Convenzione di Ginevra sul lavoro domestico”

Centocinquant’anni di storia d’Italia, dalle serve alle domestiche alle badanti. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “lavoratrici e lavoratori immigrati, troppo spesso impiegati in condizioni di tutela inadeguate”
ROMA – Riconoscere il contributo silenzioso delle colf alla storia d’Italia e ratificare al più presto la Convenzione di Ginevra sul lavoro domestico. Sono le richieste al neogoverno Monti delle Acli Colf in occasione dell’iniziativa “Colf d’Italia. 150 anni di lavoro domestico per raccontare l’Italia che cura”, nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Emersione dal lavoro nero, lotta allo sfruttamento e per diritti di base come la malattia e la maternità sono gli obiettivi fondamentali.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso il proprio “apprezzamento per l’iniziativa” in un messaggio, in cui si legge: “un convegno di particolare interesse che affronta aspetti importanti della nostra organizzazione sociale: l’equità e l’efficacia del nostro sistema di welfare e la garanzia di diritti  per tutti quei lavoratori che contribuiscono in modo determinante  a integrare le prestazioni dello stato sociale e a sostenere la rete di cura nel nostro Paese. Negli ultimi decenni, infatti, tali figure professionali sono state per lo più riscoperte da lavoratrici e lavoratori immigrati, troppo spesso impiegati in condizioni di tutela inadeguate. Nella gestione delle attività rivolte all’assistenza e alla cura sono coinvolte le famiglie, strutture pubbliche e iniziative di mercato. E’ perciò necessario un attento coordinamento che sappia conciliare equità ed efficienza”.
Il lavoro domestico, importante ma invisibile, nella maggiorparte dei paesi del mondo è ancora considerato un “non lavoro”. Coinvolge secondo alcune stime 100 milioni di lavoratori nel globo, in prevalenza donne migranti, cui si nega la dignità di lavoratori e di persone. In Italia le stime parlano di oltre un milione e mezzo di lavoratrici e lavoratori domestici, la maggiorparte sono donne straniere, ma con la crisi anche le italiane si stanno riavvicindando a questo mestiere. Lo scorso giugno a Ginevra è stata adottata dall’Organizzazione internazionale del lavoro la “Convenzione internazionale sulle lavoratrici e i lavoratori domestici del 2011”.
“Dalle balie alle serve del passato, dalle colf alle ‘badanti’ di oggi, abbiamo contribuito a costruire questo Paese e ancora lo teniamo insieme con il nostro lavoro” ha detto Raffaella Maioni, responsabile nazionale delle Acli Colf, l’associazione professionale delle Acli che da oltre 60 anni si occupa della tutela delle lavoratrici domestiche. Sono proprio le Acli che nel 1964 inziano da definirle ‘collaboratrici domestiche’, da cui il termine ‘colf’. Il primo contratto collettivo nazionale è del 1973. Ma oggi, mentre la domanda di assistenza familiare è in crescita, aumentano anche soprusi, ingiustizie e irregolarità. “Diviene prioritario spezzare il circolo dell’illegalità diffusa in questo settore” afferma Pina Brustolin, responsabile nazionale di Acli Colf, che negli anni Cinquanta a 13 anni ha lasciato il bellunese per andare a fare la collaboratrice domestica a Bologna, dove ha conosciuto le Acli e da allora si impegna nella tutela delle assistenti familiari.
Erano 473.574 i domestici (66% donne, 34% uomini) nel 1861, quando fu fatto il primo censimento. Oggi si stima che siano il triplo. Un mestiere che ha attraversato indenne il Novecento. Né la rivoluzione d’Ottobre, né le guerre, il nazismo o il fascismo hanno potuto estinguerlo. Le leggi razziali in Germania proibirono alle famiglie ebraiche di assumere come domestiche donne tedesche con meno di 45 anni per impedire rapporti sessuali e mescolamenti di sangue. In Italia le leggi antisemite proibirono agli ebrei di avere italiani al proprio servizio, costringendoli a licenziare le domestiche. Dopo la guerra nascono i gruppi Acli domestiche per il timore che le cameriere finiscano “tra le braccia” dei comunisti. “Dagli anni Settanta, grazie al crescente afflusso di immigrati, l’offerta di lavoro domestico è tornata abbondante – spiega Raffaella Sarti, ricercatrice dell’Università di Urbino – una quota rilevante dei domestici immigrati è oggi costituita da persone che nel paese d’origine appartengono al ceto medio”.
Fonte:  www.redattoresociale.it

Nessun commento:

Posta un commento